TUTTI I SAPORI DI ROMAGNA!

LA PIADINA ROMAGNOLA (PIADINA DI ROMAGNA IGP)

“Niente dice più Romagna di questo pane nostro.” (…). Questo adunque è un simbolo che dice devozione alla nostra terra”. (Aldo Spallicci – 1920)

Non possiamo che essere d’accordo con Spallicci: nulla dice Romagna come la piadina, nulla come la piadina ne rappresenta l’unità regionale. Simbolo della cultura alimentare romagnola, la piadina ha oggi ottenuto il riconoscimento IGP, “indicazione geografica protetta”. E questo riconoscimento sottolinea senza ombra di dubbio il ruolo fondamentale di questo cibo nella nostra cultura: la tipica ospitalità della Romagna, la convivialità della sua gente è rappresentata al meglio dalla piada calda e da un buon bicchiere di vino!
Ma cos’è la piadina? Ogni romagnolo vi risponderà: “Casa!”
Chiunque, meno prosaico, vi risponderà, invece, che è una sorta di pane non lievitato, stretto parente di focacce, pane arabo, pane musica sardo, ecc. E, ovviamente, tenterà di darvi una ricetta canonica, universale, per realizzare questo gustoso alimento che, come i romagnoli, si accompagna bene con tutto, dal salume, al pesce, alle erbe di campo, alla crema di nocciole in tempi moderni.
Quindi, come si fa la piadina? Tre sono i capisaldi della ricetta: acqua, sale e farina. Ma non basta… Ci vuole un grasso, animale possibilmente, come lo strutto, o (in tempi moderni) vegetale, come l’olio d’oliva; qualcuno può aggiungerci un po’ di latte per “insaporire l’acqua” o del bicarbonato per “evitare che si bruci” ma, in realtà, dare una ricetta è praticamente impossibile! Ogni casa, ogni azdora, ha la sua ricetta personale (quella per cui “la piadina viene meglio”) e crearne una universale è considerata una sorta di eresia!
Sicuramente, un’altra cosa che unisce il popolo romagnolo è che la pida va cotta sulla teglia di Montetiffi, il “nero testo di porosa argilla”, come lo definiva Giovanni Pascoli. Ma, purtroppo, ancora una volta, i tempi moderni ci hanno messo lo zampino e la teglia di terracotta, che conferiva quella particolare fragranza alla piadina, è diventata ormai un oggetto introvabile, quasi di lusso. E il meno “romantico” (ma più reperibile) testo in ghisa o antiaderente, ha sostituito anche nelle case romagnole la teglia di Montetiffi, con buona pace dei puristi.
Ma se abbiamo dovuto cedere alla modernità, nessun romagnolo cederà mai le armi nella millenaria lotta sull’altezza ideale della piadina: a proposito, qual è? Non si sa…. Se siete nella zona di Rimini, la troverete sottile, larga e flessibile, se invece siete nel forlivese, la troverete spessa, con un diametro più ridotto e un po’ più rigida. Poiché non si arriverà mai ad una soluzione accettabile da tutti, qualcuno ha decretato, molto democraticamente, che l’altezza ideale della piadina è quella che si trova a metà strada lungo l’asse della Via Emilia! Di sicuro, la piadina va consumata calda, per gustarne la particolare fragranza e l’ aroma angelico!
Comunque la si voglia vedere, la piadina è lo specchio della Romagna: un cibo facile da preparare anche in tempi di miseria, quando si usavano farine poco pregiate, ma almeno si portava in tavola “un boccone di pane”. Anche nelle varianti dei crescioni o dei tortelli alla lastra, farciti con quello che si aveva in casa (erbe di campo o zucca e patate), si ritrova la dura vita dei contadini romagnoli. Un cibo “povero”, che come diceva Pascoli: “Azimo santo e povero dei mesti (…) che s’accompagna all’erbe agresti…”.
Ma se camminando per le strade romagnole, sentite il profumo della piadina provenire da una casa, un chiosco, una sagra paesana, afferrate un bicchiere di vino e unitevi alla compagnia: così assaporerete la vera e genuina Romagna!

(Le fotografie di seguito pubblicate sono tratte dal libro “IL NERO TESTO DI POROSA ARGILLA” di P. ZANI – ED. PAZZINI. Le persone ritratte sono Sante Reali, tegliaio di Montetiffi, e sua moglie Gloria Molandini.)

GUSTO E TRADIZIONE: IL FORMAGGIO DI FOSSA DI SOGLIANO D.O.P.

E’ arrivato novembre….l’autunno e i suoi colori incendiano le nostre colline con un’esplosione di allegria! Ma solo per pochi giorni…è l’Estate di San Martino e subito dopo, quasi che la Natura si fosse stancata troppo, quassù tra le colline sopra il Rubicone arrivano le prime nebbie…una coltre gradita a Messer Autunno! Sono queste nebbie che caratterizzano l’ultima parte del mese, rendendo il clima umido e rigido, e che “preparano il terreno” per il meritato riposo invernale. In questi giorni, la tradizione popolare festeggia un’altra Santa particolarmente venerata nelle nostre campagne: Santa Caterina…e si sa che “Per Santa Caterina, o neve o brina!”
Ma per Sogliano e il suo territorio è forse il momento più importante dell’anno: il paese sembra un alveare, tutto in fermento per preparare la “resurrezione” del suo tesoro! Infatti, è proprio in concomitanza con la festa di Santa Caterina che la tradizione vuole che il Formaggio di Fossa riveda la luce e inondi con il suo profumo caratteristico le stradine del borgo. Un profumo assolutamente inconfondibile, di paglia e funghi, che ricorda la terra e il sottobosco, e che è diventato nel tempo uno dei suoi marchi di fabbrica, insieme al sapore delicatamente piccante e persistente. Questo marchio peculiare ha portato al riconoscimento di una sospirata e sicuramente meritata D.O.P.
Il Formaggio di Fossa è il prodotto tipico più conosciuto del territorio di Sogliano al Rubicone, nel cuore della Romagna, un vero principe della gastronomia che ha raggiunto una fama internazionale e che è protagonista sia sulle tavole dei ristoranti di lusso che nella cucina casalinga.
La Fiera, che si tiene le ultime due domeniche di novembre e la prima di dicembre, non è solo il momento per celebrarlo ma anche quello per conoscerlo.
Ognuno di noi potrà avventurarsi nell’affascinante mondo di questo prodotto fantastico, imparando e conoscendo quelli che sono i suoi punti di forza e il suo particolare metodo di produzione.
I molti curiosi, i gastronauti, gli appassionati di enogastronomia e tradizione che si inerpicano fin quassù per cercare “quello più buono!”, ogni anno avranno una gradita occasione per scoprirne le caratteristiche e le peculiarità nascoste!
Ovviamente, tali caratteristiche cambiano a seconda del tipo di latte utilizzato, di mucca o di pecora, che danno le 3 tipologie di Formaggio di Fossa (Vaccino, Pecorino e Misto), della stagionatura pre-fossa e del periodo di produzione.
Infatti, se è sempre vero che il primo giudice è il gusto personale, è anche vero che conoscere le caratteristiche che lo rendono unico e inconfondibile, quelle che solo una tradizione centenaria ha potuto codificare, ci aiuterà a scegliere prodotti di qualità evitando, allo stesso tempo, imitazioni apparentemente simili, ma che nulla hanno a che vedere con il nostro Formaggio di Fossa D.O.P.

(Estratto di articolo di Sabrina Reali, pubblicato nel novembre 2008)

IL SAVOR DI MONTEGELLI: SAPORE DI ROMAGNA

Un grande calderone di mosto bollente e una pioggia di frutti: pere dolci, pere cotogne, mele verdi, mele rosse, mele cotogne bitorzolute e profumate, croccanti gherigli di mandorle…

È la ricetta del Savor, che in dialetto romagnolo, vuol dire “sapore”. La preparazione di questa antica confettura, che si produce a Montegelli di Sogliano al Rubicone, avviene ancora come una volta, cuocendo gli ingredienti in una grande pentola a fiamma bassa, costantemente girati e controllati fino ad ottenere la consistenza desiderata. La marmellata così ottenuta ha un colore rosso tendente al bordeaux, dal sapore morbido, delicato, pastoso e leggermente asprigno, con pezzi di mandorle come lieto fine!

Sono tante le persone impiegate nel lavoro: chi raccoglie la frutta, chi la sbuccia con mani abili e veloci, chi la cuoce con attenzione; altre mani volenterose sistemano la confettura dentro vasetti di vetro, poi ricoperti con tovaglioli colorati. Tutto fatto con cura e pazienza. L’unico compenso di tanta fatica è la soddisfazione del lavoro ben fatto, l’allegria del contatto e dell’incontro… come in un gioco!!! Nelle case contadine di Montegelli, il Savor veniva conservato in piccole damigiane dal collo largo e serviva come energetico companatico da consumare durante tutto l’inverno. In molti, è ancora vivo il ricordo di questo dolcificante naturale, che veniva preparato con il mosto d’uva concentrato, perché lo zucchero era scarso e tanto costoso da non poter essere utilizzato liberamente.

Il suo sapore fa risaltare i frutti sapientemente dosati: dolce ma non troppo, profumato di sapori agresti, ottimo con pane fresco e piadina romagnola; accompagna in modo eccellente sia i formaggi freschi, come la ricotta fatta in casa, che quelli stagionati ed è divino con il Formaggio di Fossa. Il tutto annaffiato con Sangiovese di Romagna o Albana passita. Oggi, stiamo rivalutando questo cibo locale, che richiama ai sapori che nascono dalla terra, alla nostra appartenenza culturale, al nostro territorio, salvandoci dall’anonimato e dalla globalizzazione.

Per saperne di più visita il sito http://www.savordimontegelli.it/ 

L’OLIO EXTRAVERGINE DI ROMAGNA

L’olio romagnolo sta diventando sempre più famoso e la coltivazione dell’ulivo sempre più importante nelle nostre colline, creando prodotti di eccellenza, dal profumo e sapore inconfondibile. Un olio fine e fruttato, con infinite sfumature a seconda dell’area di produzione, del diverso terreno, dell’esposizione del terreno stesso e, ovviamente, dei metodi di produzione e trasformazione di ciascuna azienda. Testimoniata da vari documenti fin dal IX secolo, la coltivazione dell’ulivo in Romagna sembra risalire all’epoca romana. Una coltivazione storica ed importante, quindi, che copre tutta l’area dal riminese, al forlivese al ravennate e che è un punto di demarcazione tra la Pianura Padana e l’area mediterranea d’Italia, quella solitamente più tipica per l’olio di oliva. Le tipologie più importanti di olio romagnolo sono il Brisighella DOP e il Colline di Romagna DOP.

BRISIGHELLA DOP
“A Brisighella li ulivi danno frutti sempre così perfetti che ne stilla da essi un olio finissimo…” (Antonio Metelli, storico ottocentesco).
Documentato fin dal 1594, il Brisighella DOP fu il primo ad ottenere, in Italia, la Denominazione di Origine Protetta nel 1996. L’areale di produzione, per la maggior parte nella provincia di Ravenna, si trova su colline protette dal vento freddo, lungo la Vena del Gesso Romagnola, a basse altitudini, in una zona ai limiti dell’area solitamente vocata alla coltivazione dell’ulivo. Ma proprio questo ne fa un unicum sul versante Adriatico e conferisce al prodotto una bontà e un sapore decantati fin dai tempi antichi. La produzione moderna è limitata e controllata come da Disciplinare di produzione dell’Olio Extravergine di Oliva Brisighella DOP e deriva da varietà locali di ulivi, come la Nostrana di Brisighella, la Ghiacciola e l’Orfana. Si ottiene, così, un olio dal colore verde smeraldo con riflessi dorati, e caratteristiche olfattive per lo più fruttate di media intensità, con netta predominanza di sentore di erba e carciofo, mentre il sapore tende all’amaro e al piccante. Il Brisighella DOP è ottimo se usato crudo su verdure, pesce, zuppe e insalate, ma il suo tocco raffinato può nobilitare anche la carne alla brace e la selvaggina. Grazie ad una selezione accuratissima, inoltre, il meglio della produzione viene isolato per produrre il Brisighello, un olio extravergine, vero e proprio “cru” di produzione, dai sentori intensi e fruttati, estratto a freddo per sgocciolamento. Invece, dalla molitura a freddo della varietà “Ghiacciola”, cultivar presente solo in pochissimi esemplari nell’area di Brisighella, si ottiene il Nobil Drupa, un olio extravergine di produzione limitatissima. Anche questi da provare e amare!

COLLINE DI ROMAGNA DOP
Questo tipo di olio ha un areale di produzione più vasto ed eterogeneo, che interessa sia le colline del riminese, dove si ha la massima concentrazione di ulivi, sia la provincia di Forlì-Cesena, dove nei territori di media e bassa collina, ubicati tra le valli del Rubicone, del Savio, del Montone e del Bidente, si trova un patrimonio olivicolo veramente importante.
L’olio prodotto è l’Olio Extraverigne di Oliva Colline di Romagna DOP, che identifica tutta la produzione tra Rimini e Forlì. Da Disciplinare di Produzione, quest’olio ha un colore che varia dal verde al giallo oro, ha sentori fruttati medi e talvolta intensi, con sensazione di erba e foglia, dal sapore leggermente amaro e mediamente piccante, che si spinge, in alcuni casi a lievi sentori di mandorla, carciofo e pomodoro. Non è, quindi, un olio eccessivamente strutturato ma proprio per questo è particolarmente adatto in cucina sia a crudo, su insalate e zuppe, sia per condire i piatti più importanti e saporiti della gastronomia romagnola.

IL SALE DOLCE DI CERVIA 

Il Sale Dolce di Cervia è sicuramente uno dei prodotti più famosi della Romagna, che identifica un’intera comunità e la sua storia. Questo particolare tipo di sale è un sale marino integrale che viene prodotto nelle saline di Cervia fin dai tempi degli Etruschi, nel VI secolo a.C.

L’acqua del mare è quindi la materia prima da cui si produce il sale: grazie alla sua evaporazione e concentrazione si arriva alla produzione del sale vero e proprio, che viene chiamato “integrale” perchè, una colta raccolto, viene lavato esclusivamente con acqua madre (un’acqua a concentrazione di salinità molto più alta di quella del mare e più bassa di quella del sale). Da quest’acqua, ricchissima di oligoelementi e di sostanze naturalmente positive per l’organismo, si ottiene il sale dolce, che viene lasciato essiccare nei caratteristici cumuli che si vedono arrivando a Cervia. La scelta di non essiccare artificialmente né sbiancare chimicamente il sale, lo lascia integrale e ad alta solubilità: il sale dolce di Cervia, infatti, mantiene l’umidità che gli deriva dal suo percorso nelle vasche e il suo colore tipico, che non è bianchissimo, ha tutte le sfumature del rosa e del grigio che gli derivano dal processo produttivo. Le sue caratteristiche di salubrità sono fondamentali per la vita perchè è ricco degli oligoelementi presenti nell’acqua madre, quali iodio, zinco, rame, magnese, ferro, calcio, magnesio e potassio.

Inoltre, la particolare posizione della salina, la più a nord d’Italia, le caratteristiche dei bacini e del mare Adriatico, fanno si che il sale che se ne ricava sia costituito di cloruro di sodio purissimo, con una bassissima presenza di altri cloruri più amari, come il solfato di magnesio, di calcio, di potassio e il cloruro di magnesio.

La Salina di Cervia si estende per 827 ettari ed è la parte più a sud del Parco Regionale del Delta del Po: da sempre, questo ambiente naturale così unico e particolare è riserva di popolamento e di nidificazione per molte specie animali e vegetali, quali per esempio il fenicottero rosa, varie specie di aironi, il gabbiano reale e l’avocetta, piccolo uccellino dalle zampe sottili che è il simbolo delle saline.

La salina è composta da oltre 50 bacini, circondati da un lungo canale di oltre 16 chilometri, che consente all’acqua del mare Adriatico di entrare ed uscire dalla salina stessa. La raccolta avviene nel cuore della salina, nei bacini chiamati “rango” e divisi in tre vasche. E’ qui che si forma il sale, che viene raccolto in maniera artigianale con l’ausilio di un nastro trasportatore e di un carrello. L’uso di macchine per la raccolta risale al 1959 e da allora – salvo nella Salina Camillone dove la raccolta avviene ancora a mano con il metodo a raccolta multipla – ogni anno, da fine agosto a inizio settembre, avviene il rito della cavadura.

La cavadura è la raccolta del sale: l’acqua del mare viene fatta entrare dal canale immissario e viene fatta circolare nei canali che percorrono l’intera area del territorio di Cervia. Di passaggio in passaggio l’acqua di mare viene fatta defluire e, grazie all’azione del vento e del sole, evapora e si concentra formando, infine, il sale. Al momento della raccolta, il sale è bagnato e molto pesante, di un tipico colore rosa, che gli deriva dalla presenza nei bacini salanti dell’alga dunaliella, ricca di licopene e betacarotene. Alla fine del processo di produzione del sale, l’acqua marina, ormai esausta, viene fatta defluire attraverso un canale emissario che la riporterà in mare. E’ il canale che possiamo vedere a accanto agli antichi Magazzini del Sale, dove un tempo veniva stoccato l’oro bianco e che ora è sede del MUSA, il museo dedicato al sale dolce di Cervia.

LA ROMAGNA DEL VINO

Terra vocata fin dall’antichità alla coltivazione della vite, la Romagna produce vini di ottima qualità che, purtroppo, non sono molto conosciuti o apprezzati. Questo piccolo “decalogo” vuole aiutare ad avvicinarsi al mondo enologico romagnolo, mettendo in evidenza le eccellenze del territorio, senza trascurare la lunga cultura vitivinicola che questa regione vanta. 

L’ALBANA
L’Albana di Romagna è, forse, il più antico vitigno romagnolo. Leggenda vuole che, un giorno, l’Augusta Galla Placidia, trovandosi a passare sulle colline di Bertinoro, venisse omaggiata di una coppa d’Albana. Ne rimase talmente estasiata da esclamare: “Non così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì BERTI IN ORO”. Da questo racconto, nasce l’etimologia del nome Bertinoro, ameno paesino sulle colline tra Forlì e Cesena, e la fortuna di questo vino dal colore dorato e dai sentori floreali. Molto più probabilmente, il nome del vitigno deriva dalla qualità dell’uva, considerata la migliore fra le uve bianche (albus, cioè bianco), oppure dai Colli Albani e fu portato nelle nostre terre dai legionari romani che colonizzarono la Romagna. Qui, grazie al microclima e al suolo ricco di calcare, ha trovato il suo ambiente ideale e la Romagna è diventata la zona della sua massima espressione.
Il vino Albana è stato il primo bianco in Italia ad ottenere la DOCG nel 1987 ed è oggi prodotto in diverse tipologie: Secco, Dolce, Amabile, Spumante, Passito e Passito Riserva.
Ovviamente, ogni tipologia ha il suo abbinamento perfetto, dai dolci della tradizione romagnola al Formaggio di Fossa DOP: trovare il vostro preferito sarà davvero un viaggio impagabile!

IL PAGADEBIT
Il buffo nome di questo vino significa “utile a pagare i debiti”. Infatti, anche nelle annate cattive, la sua produzione era sempre soddisfacente, garantendo al contadino di pagare i suoi debiti e le spese sostenute durante l’anno. Ottenuto dal vitigno Bombino bianco, ha una enorme produttività e una grande resistenza, che ne hanno, appunto, determinato il nome. La coltivazione di questo vitigno è oggi limitata alle colline cesenati e forlivesi e la produzione è, purtroppo, alquanto limitata. Il Pagadebit ha un colore giallo paglierino, abbastanza tenue, con riflessi che vanno dal verdognolo al leggermente dorato; il suo profumo è fruttato, con sentori floreali, di ottima intensità e di gradevole persistenza. Al gusto è secco e fresco, con retrogusto di aromi erbacei e leggeri sentori floreali. Il miglior abbinamento? Ottimo con le carni bianche, le grigliate di pesce, la pasta e il risotto a base di pesce, ma è anche il compagno ideale per un buonissimo piatto tipico romagnolo, i passatelli!

IL TREBBIANO
Tra i vitigni a bacca bianca, il Trebbiano è uno dei più diffusi in Romagna, soprattutto perché è un vitigno resistente e con un’alta produttività. Il Trebbiano regala un vino leggero, da consumarsi entro l’anno successivo alla vendemmia, dal colore giallo paglierino, non particolarmente intenso ma con gradevoli note floreali. Il suo profumo di erbe e fiori di campo lo rende molto adatto alla produzione di spumanti e vermouth. L’origine del vitigno sembra risalire al periodo etrusco e romano, quando l’area romagnola venne centuriata, ed è ricordato da Plinio nella sua “Storia Naturale”. Dal periodo rinascimentale in poi, esistono tantissimi documenti che parlano di questa uva bianca, con gli acini piccoli e rotondi, estremamente feconda, che dà raccolti abbondanti. Per questo, col trascorrere del tempo, ha dato vita ad una famiglia di vitigni tra i più amati e coltivati, ottenendo la DOC nel 1973. Ottimo con la piadina romagnola e gli affettati (uno dei piatti più comuni della Romagna), il Trebbiano si abbina perfettamente anche con antipasti di mare e formaggi molli. 

IL SANGIOVESE
Questo signor vino, il più importante dei rossi romagnoli, ha origini leggendarie: si racconta, infatti, che ad un banchetto nel Monastero dei Frati Cappuccini di Santarcangelo di Romagna, agli illustri ospiti venisse servito questo vino prodotto dagli stessi monaci. Ovviamente, il vino fu molto apprezzato e ne fu chiesto il nome. Un monaco, con prontezza di spirito, disse che il vino si chiamava “Sunguis di Jovis” = Sangue di Giove (Sanjovese), ispirandosi probabilmente al nome del Colle Giove su cui sorge Santarcangelo. Oggi, le uve di Sangiovese sono protagoniste nella produzione di vini famosi e rinomati a livello internazionale, quali il Brunello di Montalcino e il Chianti. Il Sangiovese prodotto nell’area romagnola, negli ultimi dieci anni, ha riscontrato una visibile e costante crescita qualitativa, che nelle punte di eccellenza regge il confronto dei più famosi Sangiovesi internazionali.
Ormai simbolo della Romagna, il Sangiovese riassume il carattere schietto e robusto dei romagnoli: ruvido ed esuberante all’esterno, racchiude un’anima sincera, quasi delicata, che lo rendono immagine della nostra tipica ospitalità. Potete assaggiarlo con tutti i piatti tipici della Romagna, perché questo vino si abbina benissimo con le minestre fatte in casa, condite con abbondanti ragù di carne o selvaggina, con gli arrosti misti e le grigliate di maiale, ma anche con la cacciagione, gli stracotti e i brasati. Le tipologie oggi prodotte sono: novello, superiore e riserva. Per il tipo “riserva”, sono previste 12 sottozone, che legano il Sangiovese ai luoghi e alle tradizioni di questa terra generosa.

LA CAGNINA
Di probabili origini friulane, la Cagnina arrivò in Romagna presumibilmente durante il VI secolo, al seguito dei mastri scalpellini istriani, chiamati a Ravenna per lavorare la pietra d’Istria durante il governo Bizantino. È, quindi, un vino di antichissima coltivazione nel nostro territorio ed è diventato una delle bandiere enologiche della Romagna. Il vitigno Cagnina, infatti, è parente stretto del vino friulano Terrano o Refosco: le caratteristiche ambientali e i metodi produttivi hanno condotto a due vini dalle caratteristiche organolettiche simili, ma dal carattere completamente diverso. La Cagnina ha un colore rosso violaceo, con una leggera spuma al momento della mescita; il suo profumo è vinoso, intenso, con marcati sentori di frutti rossi, che ne denotano il carattere caldo e carnoso. Grazie a queste caratteristiche, lo possiamo abbinare alla ciambella romagnola e ai tortelli dolci ma, soprattutto, alle castagne e ai marroni arrostiti. In Romagna, infatti, questo vino è il primo che viene bevuto: ai primi freddi dell’autunno, è la bevanda migliore per scaldare l’animo dei sanguigni romagnoli, che lo consumano ancora giovane, già una settimana dopo la vinificazione. Non invecchiate la Cagnina: regala il massimo dei suoi profumi e sapori entro dicembre!