ANTICHE TRADIZIONI DI ROMAGNA, IL CUORE DI UN POPOLO

IL NERO TESTO DI POROSA ARGILLA: LA TEGLIA DI MONTETIFFI

“Prima si fa il fondo, poi si fa l’orlo, quindi le orecchie: ecco fatta la teglia”.

Seguendo questo vecchio adagio, che in dialetto romagnolo rende molto di più ed è addirittura in rima, le mani del tegliaio fanno il loro dovere. Un umile capolavoro che da centinaia di anni accompagna la vita quotidiana della gente di Romagna. È, infatti, del 1527 la prima testimonianza scritta delle teglie di Montetiffi: in un decreto emanato dalla città di Rimini si cita espressamente “… vaxi de terra d’ogni vel qualità, che fossino tracti e conducti da Montetiffi”.

Derivante dal latino “testum”, che significa “coccio o frammento di terracotta”, la teglia (o testo, appunto) è un largo “piatto” in terracotta su cui tradizionalmente si cuoce la piadina romagnola, il pane soffice e sottile, caldo e profumato che accomuna tutte le terre di Romagna. Non si sa quando sia nata la teglia, anche se molti storici le danno un’origine che risale addirittura all’antica Roma ed ai suoi legionari; di sicuro c’è solo che sono centinaia d’anni che questo prezioso strumento culinario viene “costruito” nella stessa maniera. Un procedimento lungo e laborioso, che dà vita ad un’arte che si è tramandata di generazione in generazione nelle famiglie dei tegliai di Montetiffi.

È proprio qui, lungo la Valle del fiume Uso che questa tradizione ha nutrito per decenni tante famiglie del luogo, dove la terra, avara di frutti, nasconde nel suo ventre le preziose materie prime che vengono usate nella fabbricazione del “nero testo di porosa argilla”, come lo definì Giovanni Pascoli, che descrive con i suoi inimitabili versi questa usanza senza tempo:

“…fosse pur là dove è maestra gente

in far teglie sotto cui bel bello

scoppietti il pungitopo e la ginestra,

a Montetiffi…”

Un umile mestiere, sicuramente, ma che a Montetiffi ha raggiunto la forma di arte, e che, per fortuna, nonostante lo spopolamento delle campagne e l’avvento della teglia in ghisa, ancora si preserva, grazie alla tenacia di una giovane coppia che ha scoperto la “vocazione” dell’artigiano tegliaio. E, così, si possono ancora tramandare e conservare i segreti della creazione della teglia, che sono stati per secoli gelosamente custoditi e passati da padre in figlio. Segreti che cominciano già dalle materie prime per la fabbricazione dei testi: le più importanti sono l’argilla rossa, l’argilla blu (che si trova solo qui) e la calcite, una specie di sasso marmorizzato. Le argille vengono raccolte solitamente durante l’estate dal tegliaio stesso, che conosce dove si nascondono nel ventre del monte, i bacini di questa fondamentale materia prima.

L’argilla viene fatta seccare al sole, sminuzzata con un mazzuolo di legno e macerata in mastelli per due o tre giorni. Il sasso di calcite, l’altro “ingrediente” della pasta base della teglia, viene cotto nello stesso forno delle teglie e tritato in una grossa ciotola; la polvere ricavata verrà setacciata e miscelata con l’argilla. L’impasto così ottenuto è pronto per essere modellato su di un tornio che, oggi come allora, è azionato con i piedi: prima si fa il fondo piatto, quindi con un lungo budello di argilla, si modella l’orlo. E le orecchie? Questo curioso nomignolo viene dato a 4 piccole appendici che vengono apposte lungo il bordo della teglia: un tempo fondamentali perchè nei loro buchi passava la corda che assicurava i testi alla groppa dell’asino durante i lunghi trasporti, oggi non sono altro che un simpatico elemento decorativo.

Una volta che la teglia è pronta viene fatta stagionare per qualche settimana al sole e quindi cotta in un grande forno a legna, ad una temperatura di 600/700 c°. A questo punto, la teglia è pronta per le nostre cucine, dove “trasmetterà” il suo inconfondibile sapore e la sua inimitabile fragranza alla piadina romagnola. Una delizia che, per fortuna, non è ancora andata persa, nonostante non esistano più tante famiglie di tegliai come una volta. E anche se ormai i tegliai storici di Montetiffi, Leone Reali e Pierino Piscaglia, hanno chiuso bottega da diversi anni,  il loro mestiere, la loro arte, che aveva il profumo della terra e la tenerezza di un quadretto di piada, si è salvata e non si perderà tra le pieghe del tempo.

Per chi vuole scoprire una piccola, eterna magia e conoscere uno dei prodotti più autentici dell’artigianato di Romagna, per chi vuole un originale e sicuramente gradito regalo, consiglio una piccola gita a Ville Montetiffi, dove all’ombra della millenaria Abbazia, esiste l’ultimo laboratorio dei tegliai, a testimonianza di un mestiere che raccoglie l’energia creativa che nasce dalla terra.

(Articolo di Sabrina Reali, pubblicato nel dicembre 2007)

LE TELE STAMPATE

Tra i prodotti artigianali più conosciuti ed apprezzati della Romagna meridionale ci sono senza dubbio le tele stampate a ruggine, tramite l’impiego di stampi incisi, intrisi nel colore e battuti col mazzuolo. Andiamo allora a scoprire di più su questa tradizionale tecnica artigianale: origini e tecniche, disegni caratteristici, laboratori visitabili..e qualche trucchetto per non farsi ingannare!

Le origini di questa arte manuale si perdono nei tempi e sono riconducibili all’artigianato povero, legato al mondo rurale e contadino: stampi in legno, colori ottenuti dalla ruggine, tela ricavata dalla canapa coltivata nei campi e tessuta dai telai casalinghi. Gli stampi sono realizzati preferibilmente in legno di pero, non solo perché è un materiale facilmente reperibile nelle campagne romagnole, ma anche perché è un legno morbido, adatto all’incisione tramite scalpello e resistente ai colpi del mazzuolo.

I disegni più classici sono i motivi floreali (foglie, tralci di vite, grappoli d’uva, spighe, fiori, melograni..) e animali (galli, grifoni, buoi, fagiani, uccelli..), anche se non mancano elementi della vita quotidiana contadina e forme geometriche. Ogni stamperia ha il suo patrimonio di matrici, spesso realizzate all’interno della bottega dal proprietario stesso; alcune presentano disegni del tutto originali, altre disegni simili nei soggetti ma differenti nell’interpretazione.

La pasta colorata più tradizionale è quella ottenuta dalla ruggine, che assume le famose sfumature dall’arancione all’ocra. La ruggine viene ricavata dal ferro ossidato con aceto di vino, a cui viene aggiunto solfato di ferro e farina di frumento. Questi sono gli ingredienti di base, ma le loro proporzioni variano da una stamperia all’altra, e ogni stampatore custodisce gelosamente la propria ricetta! Altri colori (ottenuti da paste a base minerale) molto diffusi sono il blu e il verde in varie gradazioni, e il “rosso antico”. Veniamo ora al procedimento: la pasta colorata viene stesa su un tampone mentre la tela da stampare è posta su un bancone opportunamente imbottito. Si intinge lo stampo nel tampone e quindi lo si applica sul tessuto: la mano sinistra blocca con fermezza lo stampo, mentre la destra impugna un mazzuolo di circa 3 o 4 chili che, con gesti rapidi e precisi, va a percuotere lo stampo con tre colpi decisi…E via così, per accostamento delle matrici, fino al termine della decorazione desiderata. Il telo viene quindi posto ad essiccare, per poi essere immerso in un bagno di fissaggio con soda caustica, un tempo ottenuta con cenere ed acqua. Infine il telo viene lavato per eliminare l’eccesso del colore e nuovamente steso ad asciugare.

Ma come possiamo riconoscere l’originalità di queste tele stampate? Ecco qualche piccolo consiglio per verificare se la nostra tela è stata davvero prodotta secondo la tecnica artigianale doc! Come prima cosa, controllate che il disegno e il colore della stampa siano leggibili anche sul rovescio della tela; è proprio sul rovescio che risultano maggiormente percepibili le piccole disomogeneità ed imperfezioni dovute alla manualità dell’operazione. Una stampa fatta a mano deve presentare delle lievi sfasature, dovute alla composizione per accostamento degli stampi, e anche la ripetizione dello stesso disegno può presentare qualche differenza tra una stampa e l’altra. Attenzione anche al colore: quello delle stampe industriali si riconosce perché è piatto ed uniforme, mentre quello stampato a mano è necessariamente soggetto a sfumature e ad una distribuzione del colore disomogenea. Insomma, ogni tovaglia, canovaccio, tovagliolo è un vero e proprio pezzo unico, che nessuna produzione industriale, per quanto pregiata, potrà mai equivalere!

Per proteggere l’unicità e l’originalità di questa arte artigianale, nel 1997 un gruppo di artigiani riminesi si è unito ai titolari di altre botteghe della Romagna, dando vita all’Associazione Stampatori Tele Romagnole. L’Associazione è costituita dall’unione delle stamperie che continuano ad utilizzare il procedimento produttivo tradizionale e vuole garantire il rispetto di tale metodo, tutelandoci così dalle contraffazioni e salvaguardando le botteghe storiche, che oggi sono circa una decina. Potete riconoscere le tele prodotte da queste stamperie dall’etichetta, sulla quale è rappresentato il marchio dell’Associazione.

Se siete curiosi di scoprire dal vivo la lavorazione delle tele, sappiate che molte di queste botteghe sono felici di aprire i propri laboratori ai visitatori!

A Santarcangelo di Romagna, per esempio, si trova uno dei più antichi laboratori di questo tipo, la Stamperia Marchi. Qui viene tutt’oggi utilizzato un gigantesco mangano del 1633, unico al mondo per dimensioni e peso. I proprietari effettuano visite guidate per gruppi o singoli su richiesta, tramite compilazione di un modulo online.

Altri laboratori che trovate anche online sono: Pascucci, Olivetti e Braghittoni.

LA CERAMICA DI FAENZA

Il nome di Faenza nel periodo rinascimentale brillava già per la produzione di oggetti in ceramica di fattura squisita, esportati in molti Paesi europei. Fin dal 1500, e ancora oggi, in gran parte del mondo maiolica si dice faience, francesizzazione di Faenza.

La tradizione artistica e artigianale prosegue da oltre cinque secoli e continua a tradursi in oggetti unici, in vendita nelle oltre 50 botteghe ceramiche della città. Entrare in questi negozi è una vera esperienza: oggi come in passato, i maestri d’arte ceramica accolgono il turista personalmente nelle loro botteghe-laboratorio, dove lo iniziano ai segreti della modellazione delle opere, della lavorazione al tornio o della raffinata decorazione.

In omaggio alla ceramica, la città si anima di eventi in cui alla raffinata qualità artistica e artigianale si abbina una originale spettacolarità: nel primo weekend di settembre degli anni pari i migliori foggiatori si incontrano nei Mondali Tornianti, una sfida di tecnica e abilità vasaia, mentre i migliori artigiani europei si danno appuntamento ad Argillà Italia, mostra-mercato internazionale con circa 200 espositori, e infine nella manifestazione Rakuriosi si confrontano gli specialisti del raku.

IL MOSAICO DI RAVENNA

Le origini del mosaico si perdono nella notte dei tempi. Le prime testimonianze dell’uso dell’arte del mosaico ci arrivano dagli antichi Sumeri, dai Greci e dai popoli italici, come tecnica legata all’architettura e agli abbellimenti di pavimenti e pareti. Con la nascita del Cristianesimo e dell’iconografia cristiana l’arte del mosaico si sviluppa soprattutto come arte parietale avente la funzione di unificazione del culto cattolico e delle immagini votive. I centri di maggiore produzione di questo tipo di arte nei primi secoli dopo cristo sono la città di Roma, Costantinopoli e proprio la città di Ravenna.

E’ in questo periodo infatti che vengono realizzate le grandi chiese e basiliche ravennati, i cui bellissimi interni possiamo ammirare ancora oggi, che portano al loro interno le ferite della unificazione del culto cattolico ( si pensi ad esempio alla Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, nata come luogo di culto dell’arianesimo e poi, a seguito della scomunica, riadattata al culto ufficiale cattolico). Sebbene possiamo affermare che l’arte del mosaico è arrivata ai giorni nostri in ottima salute, è durante il Rinascimento che i mosaici perdono importanza in favore del mezzo pittorico, che consentiva agli artisti dell’epoca una maggiore espressione della loro creatività. La decorazione parietale viene assorbita quasi completamente dalla pittura, più adatta, con i suoi chiaro scuri e la sua maggiore aderenza al reale, a soddisfare il gusto del tempo.

Il Novecento e la nascita delle prime scuole di Mosaico
Alla fine del XIX, con il ritorno e l’affermarsi delle arti simboliche, anche l’arte del mosaico torna ad essere uno strumento espressivo attuale. Ma è certamente sull’onda artistica delle avanguardie del primo Novecento che in Italia nascono due scuole di mosaico dalle tradizioni ricche, ma distinte, che sono tutt’oggi presenti e attive sul territorio. La Scuola di Spilimbergo (Udine) che riprende l’antica scuola pavimentale veneziana e che viene alimentata dai contributi dei mosaicisti lagunari, e la Scuola di Ravenna, che anche grazie alle campagne di restauro dell’ 800, nel 1922 fonda il primo “corso speciale per la lavorazione del mosaico”, presso l’ Accademia della Belle Arti di Ravenna.

In particolare la scuola ravennate, grazie alla grande esperienza nel restauro antico, si pone già da subito come polo di trasmissione dell’antico metodo del fare mosaico, con insegnamenti speciali e lavori sul campo.

Le scuole di Mosaico oggi a Ravenna
Accademia delle Belle Arti di Ravenna

Fondata nel 1827, il 10 febbraio del 1924 grazie al volere di Vittorio Guiccimanni vede l’istituzione del primo corso di formazione sul mosaico. Essenzialmente la scuola serviva per due compiti pratici: innanzitutto la formazione delle maestranze che si sarebbero dovute occupare dei restauri degli antichi monumenti, in secondo luogo la scuola consentiva la glorificazione del Regime Fascista dell’epoca, attraverso l’utilizzo dell’antico linguaggio aulico. Nel 1940 il Corso di Mosaico dell’Accademia viene trasformato in una vera e propria “Scuola di Mosaico”, e nel 1949 si vedrà la anche costituzione di un vero e proprio Liceo Artistico con particolare attenzione all’arte del mosaico.

Oggi l’Accademia delle Belle Arti di Ravenna propone ai propri studenti la possibilità di frequentare laboratori di mosaico e restauro, mentre per tutti gli interessati sono attivi i “corsi estivi di mosaico”che sono rivolti proprio a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a questa antica arte, senza intraprendere un vero e proprio corso di studi.

Scuola per il Restauro del Mosaico

E’ la Scuola della Soprintendenza peri Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna ed è stata istituita nel 1984. Una vera e proprio Università dedicata al mosaico a cui si accede solamente tramite concorso pubblico. La Scuola per il Restauro del Mosaico ravennate nel tempo si è distinta per interventi di grande complessità e pregio in vari luoghi d’Italia tra cui il recupero dei bellissimi mosaici della zona archeologica di Piazza Armerina nella provincia di Enna, Sicilia.

Istituto Statale d’Arte per il Mosaico “G. Severini”

Nonostante sia un Liceo Artistico l’ Istituto Statale d’Arte per il Mosaico “G. Severini”, è una delle poche realtà italiane ad occuparsi, nello stesso tempo, di arte contemporanea, restauro ed arte antica. Nasce nel 1959 da una idea di Gino Severini che voleva creare una struttura in cui si educasse il mosaicista ad essere contemporaneamente un tecnico del restauro ed un artista. Ad oggi vi sono attivi due corsi: uno riguardante l’arte del mosaico, formato da un triennio di studio e due anni di specializzazione, ed un corso sperimentale di arte e restauro del mosaico di durata quinquennale. Entrambe i corsi poi sono propedeutici all’ingresso in Accademia, cosa che rende gli studenti ravennati tra i più preparati al mondo in questa antica arte.

Oggi l’Istituto e i suoi allievi partecipano ad iniziative dedicate al mosaico in tutto il mondo. E’ da segnalare che nel 2003/2004, su disegno di Giovanni Guerrini, i ragazzi dell’istituto hanno realizzato i mosaici per la fontana della Piazza di Tuzla in Bosnia, oltre che a numerose opere nella città di Ravenna e Provincia.

Naturalmente a Ravenna sono attive numerose scuole e corsi privati di insegnamento del mosaico, il cui elenco completo interamente consultabile in rete.

Grazie al mantenimento di millenarie tradizioni e alle numerose scuole presenti sul territorio, oggi a Ravenna si possono ammirare una quantità altissima di mosaici: i più famosi sono certamente quelli appartenenti all’antichità, molti dei quali sono all’interno dei monumenti del patrimonio UNESCO dell’umanità, ma non mancano bellissime opere artistiche contemporanee esposte sia in spazi museali, sia all’aperto, realizzate con la funzione di abbellire e colorare della città di Ravenna.